Passa ai contenuti principali

In primo piano

Adattarsi, nel bene e nel male

È TIPICO DI NOI ESSERI UMANI: ADATTARSI . Adattarsi a tutto. Non c'è bisogno di scomodare il buon Darwin e la scienza dell'evoluzione. Fa parte della nostra natura: chiamiamolo istinto di sopravvivenza o in altri modi, il concetto è sempre quello. Ad esempio, dopo che ci siamo abituati a un determinato spazio, noi siamo spinti a dividerlo, riusciamo a dividerlo ancora e poi a dividerlo sempre di più. Riuscendo alla fine a trovare un nostro modo di stare, una nostra dimensione in uno spazio sempre più ridotto. Ci adattiamo a vivere anche in monolocali da pochi metri quadrati... La stessa cosa vale per i soldi o le risorse in genere: una volta abituati a una determinata condizione, impariamo a rimodulare la nostra vita con quello che abbiamo. E lo stesso accade quando le risorse disponibili diminuiscono, se sono sempre di meno.  Non sempre tale spirito di adattamento segue percorsi virtuosi. Ci adattiamo spesso anche a situazioni di comodo. Di comodo per noi, ovviamente. Così cap...

Racconto breve: ESP-ERIMENTO - © di Marcus

Era troppo tardi ormai per tornare indietro. La linea di non ritorno era stata abbondantemente oltrepassata e si perdeva lontana nei mesi addietro. Stavano per cacciargli quel dannato microchip nella testa. E comunque, dannato o no che fosse, in fondo l’aveva voluto lui.

Continuò a ripetersi quelle parole per la centesima volta, come fossero un mantra. Tuttavia non riusciva proprio a liberarsi dal pensiero che al risveglio nulla sarebbe stato come prima.

Poi abbassò le palpebre, respirò un'ultima lunga e profonda boccata dalla mascherina che gli avevano posato sul viso e in pochi secondi precipitò nella fredda oscurità del sonno indotto.

Quando riaprì gli occhi era sdraiato sul letto di un’ampia camera d’ospedale. Una luce viva e discreta al tempo stesso accarezzava le pareti bianche e quasi del tutto spoglie intorno a lui. Non c’era mobilio né arredamento di sorta in quella stanza, eccezion fatta per la vicina poltroncina dove sedeva Christine. Il confortante sorriso di sua moglie dissolse lo smarrimento di quei primi attimi. Gli teneva la mano: la pelle calda, il palmo un po' sudato per il nervosismo accumulato.

Lui sorrise dolcemente. Conosceva bene quella donna e non solo per i quasi vent'anni di unione coniugale. Aveva imparato a prevenire con un semplice sguardo ogni sua inquietudine, ogni sua necessità. Adesso, prevedendo l’uscita di una lacrima, le passò il pollice sopra la guancia, mentre con la mano confortava il suo piccolo volto. “Va tutto bene”, la rassicurò.

Poi, improvvisamente, si sentì pervaso da una strana ansia, come una smania, un susseguirsi vorticoso di domande e preoccupazioni. Forti. Mute, soprattutto. Durò solo un attimo, ma il tempo parve cristallizzarsi.

Quando fu passata, percepì la presenza di Mario e del professor Redman alle sue spalle, sentì quei pensieri e le loro emozioni fluire nitidamente verso di lui. E quando lo raggiunsero e lo invasero, lui li respirò come fossero aria. E in quel momento poté leggere le parole mentre si andavano formando nelle loro menti.

Inclinò il viso da una parte, lo sguardo sereno rivolto verso il medico: “Nessun problema... Mi sento benissimo, stia tranquillo professore”. Quindi girò gli occhi verso il suo amico e, fissandolo col sorriso più sincero del mondo, gli disse: “Mario… ce l’abbiamo fatta!”. “Davvero…?”, rispose il fidato consigliere scientifico in cerca di conferme. “Già, ci siamo riusciti!”, fu la sua risposta consapevolmente soddisfatta. Quante cose accomunavano quei due uomini, quanta storia insieme, quanti fatti, quanti ricordi. Eppure non aveva mai assaporato come in quel momento tutte le sfumature che la parola amico poteva assumere se riferita a Mario Sorin.

L’impianto era stato progettato tanti anni prima. Un amplificatore mentale delle capacità esp, comuni ma latenti in ogni essere umano, ora funzionava a pieno regime da qualche parte nella sua testa. Era l'agognato frutto del lavoro dell'intera vita del prof. Sorin. L’utopica bacchetta magica, la moby dick del suo amico scienziato, sulle cui tracce si era gettato anima e corpo un intero team di ricercatori. In quel preciso istante stava diventando finalmente realtà.

Era quello il primo e il più grande ostacolo che il progetto avrebbe dovuto affrontare. Ora l’avevano alle spalle. Adesso sarebbero venuti i viaggi e gli incontri. Si apriva la delicatissima fase della diplomazia: i vertici, i confronti, gli accordi con i capi delle confederazioni Asiatica ed Afroamericana, contrapposte alla sua fazione, quella Federazione Europea uscita a pezzi dall'ultimo conflitto e ora in cerca di un'identità geopolitica e sociale nel palcoscenico del mondo. Ma in quel momento tutto sembrava più vicino, raggiungibile e a portata di mano. Avevano un’arma formidabile e l'avrebbero usata, finalmente. Per portare la pace.

“Presidente, il mondo ti attende”, scherzò Mario, ingrossando retoricamente il tono della voce. “Allora non facciamolo aspettare troppo”, fu la sua risposta convinta. E si alzò dal letto.

Commenti

  1. carino il racconto, sempre sul genere fantascienza di cui ne vado matto :)
    grazie per l'idea di inserire i miei ultimi post :)

    RispondiElimina
  2. Grazie a te dei complimenti. Sono un appassionato del genere da quando ho cominciato ad apprezzare il profumo delle rilegature...
    E grazie di ospitarmi sul tuo blog.

    RispondiElimina
  3. eh figurati, grazie anche a te :)
    basta che non usi il No follow! Non è possibile che io linko un miliardo di blog e poi chi linka a me mette il no follow :( sono troppo deluso :(

    RispondiElimina

Posta un commento

Post più popolari