"Volevamo sentire il rumore che fa un treno quando schiaccia l'acciaio (...)
Siamo entrati in galleria e abbiamo messo dei sassi sui binari aspettando che passasse un primo treno, poi abbiamo visto la grata e l'abbiamo messa sulle rotaie (...)
Ho girato una telecamera della stazione, anche se sapevo che mi avrebbe inquadrato e poi siamo saliti. Non abbiamo sentito niente, il treno si è fermato e poi l'altoparlante ha detto di scendere perchè era uscito dai binari. Sapevo che ci avrebbero trovati, ma non credevo che ci avrebbero messo così poco. Per il risarcimento sono pronto a lavorare il pomeriggio, il sabato o la domenica''. Sono alcune delle dichiarazioni rilasciate da uno dei due quindicenni denunciati per il deragliamento di un treno avvenuto domenica scorsa a Como. Uno dei tanti, tantissimi episodi riportati ormai ogni giorno dai media e che ricadono sotto la definizione "bullismo". Definizione troppo riduttiva per un fenomeno le cui conseguenze, spesso, hanno risvolti gravissimi e, talvolta, purtroppo, letali. E che dovrebbe preoccupare anche per il corollario di arroganza e di mancata percezione di legalità che si accompagnano comunque al compimento di questi atti.
Mi chiedo: si tratta di episodi che, per emulazione, ne generano altri, dando vita a un circolo vizioso che si alimenta in modo direttamente proporzionale allo spazio che trova sui media; oppure è la nostra società, siamo proprio noi che stiamo drammaticamente cambiando in peggio?
E' ovvio, la domanda non è nuova, è anche retorica e non pretende alcuna risposta. Tuttavia ci sono alcuni indizi che mi fanno temere che la risposta possa chiamare in causa una terza tesi: quella, cioè, che ci possa essere un preciso interesse a far sì che la nostra società muti in una data direzione. Una mutazione che avviene attraverso il sottile inoculamento di comportamenti, stili di vita e valori che tendono a standardizzare aspirazioni e atteggiamenti delle masse più giovani e a farli percepire come "normali", semplicemente l'effetto dei tempi che cambiano.
Il riferimento ai messaggi canalizzati dalla televisione negli ultimi venti anni è emblematico di situazioni entrate talmente a far parte della nostra quotidianità da essere state trasferite non solo nel lessico comune, ma anche nei dizionari della lingua italiana. Ma non si tratta solo di tv: è l'esaltazione dell'oggetto di culto tecnologico o del capo di abbigliamento che inganna il giovane spingendolo a volersi distinguere indossando necessariamente un certo capo o dotandosi necessariamente di un certo oggetto. Inganno che il giovane rende perfetto proprio con il suo acquisto, uniformandosi con ciò alla massa di persone tutte con lo stesso capo e lo stesso oggetto.
Ieri sera, per caso, l'ultimo esempio. Me lo ha fornito un videogioco che ho installato sul pc (ahimè, sono un appassionato!). Ero abituato a pensare ai videogames come a una trasposizione della lotta fra uno o più buoni contro uno o più cattivi, al massimo come la scusa per trovare in forma virtuale quella trasgressione e quegli eccessi che, in linea di massima, non ci appartengono nella vita reale. Invece mi sono trovato di fronte ad un gioco che proponeva come unico obiettivo da raggiungere - l'ho capito tardi proprio perchè non riuscivo ad accettarlo come scopo - quello di fare più soldi possibili per poter comprare nuove auto, case sempre più di lusso e abiti griffati.
Ho l'impressione che siamo guidati, quasi per mano, verso un Paese dei balocchi fatto di niente. Il problema è: come fare qualcosa per i nostri figli?
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