“Ehi, ma mi vuoi ascoltare?”.
“Eh?!?”.
“Sì, A-SCO-LTA-RE! Piantala di scrivere e stai a sentire, che poi non ti ricordi nemmeno cosa ti ho detto”.
“Carla, non alzare la voce, non ero distratto, mi stavi dicendo…”. Paolo impartì immediatamente alla memoria auditiva il comando per la riproduzione neuronale di quanto lei gli aveva appena detto: ci volle meno di una frazione di millisecondo, compreso il tempo per associare le ultime frasi al contesto del discorso precedente. Un lampo mentale che gli permise di aggiornarsi all’istante su quanto detto fino a quel momento, toni, umori e inflessioni della voce compresi.
Ma per quanto immediato, il tentativo non impedì al volto di Carla di materializzare un’espressione di sdegnata delusione. “Come al solito… Te ne freghi! Basta che pensi alle tue cose…”. Da qualche tempo le sue rimostranze si erano fatte più o meno sempre le stesse. Così, come ormai capitava con sempre maggiore frequenza, Carla gli voltò le spalle e si allontanò.
Pochi passi. Lui provò a farfugliare qualche parola di scusa. E fu a quel punto che, per la prima volta da quando avevano deciso di provare l’esperienza del matrimonio, Carla non si limitò a lasciare, sconsolata e offesa, la stanza. “Basta, Paolo!”, gli urlò contro, costringendo il suo l’impianto vocale a fare gli straordinari di un bel po’ di decibel. “Non ne posso veramente più di te! Ne ho abbastanza. Di tutto!”. E mentre parlava le vene sul collo cominciarono ad ingrossarsi, segno che i chip dedicati al sistema dei controlli idraulici stavano ordinando di pompare liquido nelle microcondotte superiori. “Con te ho chiuso. Me ne vado via! E non provare a dire nulla, tanto stavolta ho deciso”. E per sottolineare la definitività intrinseca nelle sue ultime parole fece ampi gesti con le mani, quasi a voler comunicare in tal modo quegli insulti che il suo dizionario, seppur in sei lingue, non conteneva. Poi, la porta di casa si richiuse, sbattendo, alle sue spalle.
Paolo aveva seguito l’insolito epilogo di quella scenata senza dire nulla, la penna ancora sollevata dal foglio sul tavolo. Stava velocemente riflettendo sulle sue eventuali responsabilità, sulle possibili motivazioni alla base della decisione di Carla di alzare la voce in quel modo, addirittura di andarsene. In un attimo ripercorse nella sua memoria gli eventi degli ultimi sette giorni, quelli del matrimonio, ma, per quanto ampia e approfondita, la ricerca effettuata associando parole-chiave, eventi, date e ipotesi non diede alcun risultato utile.
Spese ancora qualche altro istante a considerare l’insensatezza della decisione di Carla e poi abbassò gli occhi e la penna sul foglio che aveva davanti: “Dov’ero rimasto? Ah, sì… Milan-Juventus… Mm… ics-due”. E riprese a scrivere.
Il prof. Gilardi sorrise amaro dietro la finta vetrata che nascondeva il suo ufficio ai due androidi. Strofinò gli occhi stanchi scuotendo la testa, poi inforcò gli inseparabili occhiali e fece un tratto di penna sulla pagina dell’agenda aperta davanti a lui. Poi scrisse FINE accanto alle parole Carla-Paolo 5.2 - giorno 7.
Sospirò, raccolse velocemente i pensieri e decise di andare a casa. Prima di lasciare il laboratorio vergò sul margine del foglio un breve appunto:
Nota per il dr. Rossi.
In Carla-Paolo 6.2 ricordarsi di abbassare i parametri relativi alle dinamiche sport e giochi. Inserire inoltre le nuove dinamiche insulti e offese tra le manifestazioni di risposta emotiva. Per queste ultime, infine, aggiungere nel dizionario la traduzione nelle altre cinque lingue. Grazie.
Gilardi
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