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Adattarsi, nel bene e nel male

È TIPICO DI NOI ESSERI UMANI: ADATTARSI . Adattarsi a tutto. Non c'è bisogno di scomodare il buon Darwin e la scienza dell'evoluzione. Fa parte della nostra natura: chiamiamolo istinto di sopravvivenza o in altri modi, il concetto è sempre quello. Ad esempio, dopo che ci siamo abituati a un determinato spazio, noi siamo spinti a dividerlo, riusciamo a dividerlo ancora e poi a dividerlo sempre di più. Riuscendo alla fine a trovare un nostro modo di stare, una nostra dimensione in uno spazio sempre più ridotto. Ci adattiamo a vivere anche in monolocali da pochi metri quadrati... La stessa cosa vale per i soldi o le risorse in genere: una volta abituati a una determinata condizione, impariamo a rimodulare la nostra vita con quello che abbiamo. E lo stesso accade quando le risorse disponibili diminuiscono, se sono sempre di meno.  Non sempre tale spirito di adattamento segue percorsi virtuosi. Ci adattiamo spesso anche a situazioni di comodo. Di comodo per noi, ovviamente. Così cap...

Racconto breve: CAPODANNO NEL NUOVO MILLENNIO - © di Marcus

La luce gialla sopra la porta inizia a lampeggiare. Sara deve essere tornata. Mi alzo dalla sedia per avvicinarmi come al solito col cuore gonfio d'ansia al piccolo manometro di fianco alla maniglia: la lancetta accenna appena un movimento, ma è ben all'interno dell’area verde. Sono terrorizzato all'idea di vederla muoversi, un giorno, sul rosso: significherebbe la morte della mia bambina. Già… La sopravvivenza di noi tutti, della nostra comunità contro la sua. Ed io, suo padre, il suo carnefice.

“Maledetto il mondo e maledetti noi che non ne siamo degni… Non ne siamo mai stati degni!”. Come spesso accade, mi ritrovo a sfogare la rabbia sul pulsante che comanda l'apertura della pesante porta interna, schiacciando, con quel gesto, anche le ultime scorie di quel pensiero. Sara entra e si ferma. In silenzio, mette mano alle cinghie dello zaino che ha sulle spalle e armeggia un po’ per sfilarselo di dosso. La chiusura è slacciata e il movimento senza sforzi con il quale Sara lo poggia a terra è una conferma dei timori della prima impressione: “lo zaino è semivuoto”, penso un attimo prima di accorgermi che è davvero vuoto.

Per un istante Sara alza lo sguardo verso di me. A fatica, come per cercare di riempire con qualche giustificazione quel nulla che riempie lo zaino ai suoi piedi. Poi rinuncia, raccoglie il leggero fardello e mi passa davanti con gli occhi bassi. - Mi dispiace papà - dice mentre poggia lo zaino sopra il tavolo. Sento e risento quelle parole rimbalzare dentro di me. Non sono neanche parole, ma il grido di una disperata frustrazione. So di non dover dire nulla. Anche volendo, comunque, non potrei... Qualsiasi mia parola non sarebbe sufficiente a smorzare la gravità della condanna che lei sta imponendo a se stessa.

- Resta vicino a tua madre - mi sento rispondere col tono più sereno e piatto che mi è possibile in quel momento. Avverto gli occhi tristi di Sara accarezzarmi la schiena mentre mi giro per aprire di nuovo la porta interna. - Il fucile, papà... - Già, il fucile. Come farei senza, là fuori... Alzo lo sguardo verso la stanza in penombra dove Marta sta riposando: per un attimo penso a quella vita che presto nascerà dal suo ventre. Un figlio del Nuovo Millennio. Un’altra vita senza futuro.

Il gelido contatto del fucile contro la mano mi distoglie da quel pensiero. Accenno col capo verso Sara e mi chiudo dietro la porta interna. Il suo visetto da bambina mi guarda mentre indosso velocemente la tuta protettiva e gli stivali. In breve sono pronto: un cenno e rimango in attesa che Sara azioni il comando di apertura della porta esterna. Mi ritrovo gettato nel grigio corridoio metallico che si inerpica in alto fino alla Via. Nel Formicaio ogni tana è collegata ad un corridoio principale che conduce agli ascensori per l'esterno. “Il paesaggio non offre granché, ma l'affitto è talmente basso!”. Ripeto spesso questa stupida battuta, ma ormai non rido più.

Risalgo per l'ennesima volta le gelide pareti del complesso scavato nelle viscere della Terra. Non capita spesso che l'ascensore sia fermo, in attesa, con le porte spalancate. Eppure oggi è qui: “Speriamo sia di buon auspicio”. In un attimo il controllo biometrico si assicura che il sottoscritto sia davvero il sottoscritto, poi le pesanti porte di richiudono alle mie spalle. Non ci vuole molto per salire in superficie: occupo il tempo controllando la riserva di cartucce del fucile e assicurandomi che tutto sia in ordine. Tolgo la sicura dell'arma nell’attimo esatto in cui l'ascensore spalanca le sue fauci.

Esco da lì per entrare di nuovo nell'incubo. La mia vita contro la tua: è ormai da tempo la prima regola per sopravvivere. Anni fa l’intero pianeta è stato squassato dalla guerra e dalla furia che spazzò via uomini e cose, forme di vita animali e vegetali, lasciando ai superstiti ben poco di quella civiltà che avevano conosciuto e costruito. “La Grande Luce e il Grande Vento: abbiamo avuto bisogno di inventarci un nome accettabile per nascondere l’orrore. Il ridicolo l’ha spuntata anche sulla vergogna”. Mi ritrovo spesso ad ammettere con me stesso queste cose, ma non mi sento di certo meglio dopo.

Ci siamo nascosti alla polvere radioattiva scavando in profondità: formicai sotterranei dove abbiamo cercato rifugio per continuare a sopravvivere. Abbiamo generato l'orrore supremo: la caccia agli sventurati che sono rimasti in superficie. La loro unica colpa è stata di non essere riusciti a trovare riparo al momento giusto: ora vagano là fuori, senza meta, senza scopo, in attesa di incrociare il proiettile decisivo. Quello che metterà fine alle loro sofferenze e permetterà alla comunità sotterranea di sopravvivere.

Miseri mostri ripugnanti e deformi, sono sempre di meno. “Fortuna che esistono”, ripeto a me stesso sforzandomi di crederci. Sento il sangue bruciarmi il cervello ogni volta che faccio questo pensiero. Ma so che non è tempo di pensare. Ora non c’è più tempo per pensare. Sara e Marta stanno aspettando che io torni da loro...

Mentre scatto per trovare riparo fra le rocce, lasciandomi dietro le porte sigillate dell'ascensore, mi torna in mente l'immagine del vecchio calendario che, chissà perché, ho portato con me nella tana sottoterra. Lo guardavo qualche ora prima: “Domani sarà il primo giorno del nuovo millennio”. Quante volte nella vita mi sono chiesto cosa avrei provato a leggere quella data... Quanti sogni di giovane ed inquieto assetato di futuro, sogni che mi facevano vivere mondi fantastici, guidare macchine incredibili e incontrare esseri giunti da pianeti lontanissimi... E poi ancora benessere, salute per tutti. Vita…

Penso, penso, penso. E nel frattempo corro e sudo dentro la tuta protettiva. Ancora una notte, poi domani sorgerà l'alba di un nuovo millennio. “Che importa, fra poco nascerà mio figlio!”. Per un attimo scorgo un filo di luce, un barlume dietro quel pensiero. Solo un attimo. Poi torno a serrare le labbra e riprendo a correre, più forte di prima. Ho qualcosa di importante da fare. Qualcosa di maledettamente importante, prima che venga domani.

Commenti

  1. mi ricorda un libro: sto impazzendo per ricordarmi il titolo, ma non posso scriverti la trama perchè se non l'avessi letto dovresti farlo. Perchè è bellissimo ed è del genere che ti piace.
    Se non mi viene in mente il titolo, esco pazza del tutto.
    ps
    me li stampi?

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