COM'ERA AMPIAMENTE PREVEDIBILE, a legge elettorale complicata e senza senso non può che corrispondere un esito elettorale altrettanto complicato e senza senso.
A meno di clamorose sorprese dallo spoglio dell'uninominale, lo scenario derivante dal voto sembra ormai ben delineato: centrodestra (comunque la compagine con più preferenze) e centrosinistra (con il tracollo del Pd) sono ben lontani da quel 40% che poteva consentire una maggioranza parlamentare con questa legge elettorale; e il trionfo del M5S, seppur di gran lunga il primo partito (con più di dieci punti di percentuale sul secondo), non porta tuttavia a Di Maio&co i numeri per governare da soli.
Di certo i pentastellati, per dirla con Bonafede (il primo a focalizzare perfettamente la situazione fin dalle primissime proiezioni), rappresentano "il pilastro della prossima legislatura". Ed è evidente il perché: al netto dell'opera di moral suasion che riuscirà a realizzare il Capo dello Stato nelle consultazioni dei prossimi giorni, tutti dovranno fare i conti con l'affermazione netta e numericamente pesante di un partito che da solo è riuscito a prendere pressoché gli stessi voti dello schieramento Berlusconi-Salvini-Meloni-Fitto.
Ma se questo è vero, è vero tuttavia anche il contrario: e cioè che il M5S, se vuole andare al governo, non può pensare di non scendere a qualche compromesso con i nemici giurati del Pd (impresa di certo più facile con Renzi fuori dalla scena...) o con le forze destrorse di Lega e FdI. In ogni caso, quindi, Di Maio dovrà sporcarsi le mani. D'altronde le dichiarazioni degli ultimi giorni del leader M5S raccontavano di possibili aperture in questo senso, segno che i sondaggi segreti degli ultimi giorni suggerivano proprio lo scenario che si sta delineando a dodici ore dalla chiusura dei seggi.
E questo sarà proprio il principale banco di prova del candidato premier pentastellato. Più di dimostrare di saper mettere in piedi una squadra di ministri credibile e competente; più di sapersi scrollare senza contraccolpi l'immagine di Grillo da dietro le spalle; più di saper traghettare il Movimento in una fase nuova, orfana dei due fondatori. Più di tutto questo, Di Maio dovrà riuscire a convincere il suo popolo che fare politica e governare vuol dire anche prendersi la responsabilità di scelte e sacrifici non facili. Soprattutto verso i propri elettori. Perché uno statista, per essere tale, deve dimostrarsi non più pro domo, ma erga omnes.
Riusciranno i nostri eroi...?
ricordo il 2013 quando non vollero essere la seconda gamba di Bersani, oggi il problema si ripropone ma Bersani è diventato piccolissimo
RispondiEliminaCon una differenza sostanziale. La scelta di Grillo allora fu dettata dall'esigenza di mostrarsi necessariamente duri e puri, coerentemente col la bandiera della diversità da tutti gli altri imbracciata a piè sospinto: non un partito, ma un movimento; non finanziamenti pubblici; non mestieranti della politica; nè di sinistra nè di destra... Oggi, come primo partito, votato da un italiano su tre, c'è il peso della responsabilità di governare. E quindi la necessità (e forse la voglia) di aprire e aprirsi.
EliminaPurtroppo Bersani oggi è piccolissimo, è vero. Con grande rimpianto di una parte del M5S...