Racconto breve: AFFAMATO ALLA MENSA DI DIO - © di Marcus

Quell'uomo aveva un dono. Grande e improbabile al tempo stesso, ma comunque un dono. Potrebbe definirsi una sorta di contrappasso, in grado di deliziare quanto può farlo una profonda passione e di straziare con la stessa intensità. Una nemesi: la sua dolcissima nemesi.

Accadeva nel sonno e durava tutta la notte. Ma non tutte le notti. Aveva notato da tempo che la cosa si manifestava con maggiore intensità soprattutto quando tristezza e pene prendevano il sopravvento sull'ordinario andamento delle cose. Quando tornava stanco e afflitto oppure infuriato per qualche motivo o contro qualcuno. Era durante quelle notti, più che in altre occasioni, che il dono si risvegliava in lui: la sua personalissima valvola di sicurezza si azionava così, senza che lui lo chiedesse. Che lo volesse o no, era in quei momenti che il suo sistema di autodifesa entrava in funzione, cancellando ansie, smanie e malumori, rapendo il suo spirito per portarlo lontano da tutto e tutti, in un posto dove ogni cosa intorno a lui era meravigliosa, dove emozioni e passione erano insieme al potere e lui non chiedeva altro che d'essere il loro schiavo.

Aveva imparato da tempo ormai a riconoscere fin dal minimo indizio quando tutto stava per accadere. Chi fosse stato presente in quel momento difficilmente si sarebbe accorto di ciò che stava accadendo: avrebbe visto un uomo, nulla più che un uomo, sdraiato sul suo letto che dormiva. Forse un piccolo, appena impercettibile accenno di sorriso avrebbe increspato i tratti del suo volto al momento di rendersi conto, una volta ancora, che il prodigio stava ripetendosi. Un attimo e nulla più. Poi tutto si sarebbe svolto, come al solito, fra gli improbabili e sconfinati spazi del suo sogno. Al chiuso di una sensibilità protesa ed estesa verso l'infinito.

Chiudeva gli occhi e dopo poco qualcosa arrivava fino a lui come in sella ad un sogno. Non una persona. Nemmeno la sensazione che si trattasse di un'entità cosciente. Assomigliava più ad una luce tenue e calda: almeno, quello era tutto ciò che fisicamente lui avvertiva quando provava a rievocare a mente fredda quei primi istanti in cui il fenomeno prendeva vita. Come un contatto, un modo per entrare in sintonia. Percepiva quella luce solo quando essa era ormai giunta fino a lui e a quel punto la sentiva... suonare. In un attimo era avvolto da un'emozione viva, pura, che vibrava tutto intorno e dentro di lui. Suonava ed esplodeva di luce quell'emozione. E come un diapason divino gli offriva il riferimento giusto per accordarsi e lasciarsi andare. Se poi si trattasse davvero di un suono, di un'esperienza di luce o di qualsiasi altra sensazione empirica, questo non lo sapeva nemmeno lui. E neanche aveva importanza, a quel punto.

Non ci voleva tanto per la successiva fusione: quel 'la' dolce e infingardo con il quale l'uomo entrava in piena sintonia con il suo dono e verso il quale si era convinto da tempo a lasciarsi andare totalmente, come una foglia in un torrente d'acqua. Semplicemente, lasciava che accadesse. Nulla più che offrirsi a quella simbiosi con animo sereno e totale annullamento di sè.

Sapeva che di lì a poco sarebbero arrivate altre note, quelle vere. E che anche queste sarebbero state cariche di intensità emotiva. Ma stavolta avrebbero vibrato e suonato cento, mille volte più forti e profonde. Erano le sue note, quelle che da sempre abitavano in lui. Che vivevano dentro al suo spirito, nella sua mente, nel profondo del suo cuore. Quelle che, ne fosse cosciente o meno, scorrevano nelle sue vene e riempivano i suoi polmoni fin dal suo primo respiro di vita.

Note e accordi che assalivano quel barlume di sè come onde in tempesta. E che onde! O che, come placide acque di cui non si riesce a scorgere la fine, lambivano delicatamente il suo essere, donando una pace senza tempo. Impensabili combinazioni di silenzi e suoni, impossibili da riprodurre con qualsiasi strumento musicale noto all'esperienza umana. Così vive, così violente, così semplici nella loro rappresentazione onirica.

Eppure erano le sue note. Le sue, le sue, le Sue! Sapeva e sentiva che facevano parte di lui, del suo sè umano, finito e imperfetto. Non aveva mai capito da dove nascessero: non le ricordava fra le anse del suo passato. Forse venivano dal suo futuro... Chissà. Ma cosa poteva valere quell'interrogarsi sulla loro genesi, quando a malapena, e con tutti i sensi spalancati, egli riusciva a percepirne la sconfinata intensità?

Tuttavia erano note che non avrebbe mai più ascoltato. E questa era la maledetta altra faccia del suo dono! Quelle note continuavano a succedersi all'impazzata: non smettevano un istante di ghermirlo, bellissime e mirabili come null'altro al mondo. E nonostante tutto, erano disposte secondo schemi che egli non avrebbe mai potuto ricomporre allo stesso modo. Nè lui, nè nessun altro.

Veri e propri concerti, disperatamente unici ogni volta. Concerti che egli non avrebbe mai potuto sentire una seconda volta. Nè avrebbe potuto ricordare da sveglio. Era un dono, questo sì. Ma il prezzo che ogni volta quell'uomo era costretto a pagare per il suo dono era davvero alto. Ricordava, ma non al punto di poter riprodurre alcuna nota di quella musica celestiale. Mai al punto di poter godere di tanta emozione una volta sveglio.

L'uomo che accarezzava le note dei suoi sogni impossibili.

Commenti

  1. Avvincente e commovente!!!
    Sei di una bravura enorme... le tue parole suonavano all'unisono con le note ascoltate dall'uomo

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  2. Grazie Zicin! Troppo buona... davvero! Un abbraccio!

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  3. mi stai tradendo con zicin ho capito ecco perchè non passi più tiè !!!!

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  4. Per Marianna:
    Acc... porc... Accidenti mi hai scoperto, Mari...! EHEHEH!!!

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