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Adattarsi, nel bene e nel male

È TIPICO DI NOI ESSERI UMANI: ADATTARSI . Adattarsi a tutto. Non c'è bisogno di scomodare il buon Darwin e la scienza dell'evoluzione. Fa parte della nostra natura: chiamiamolo istinto di sopravvivenza o in altri modi, il concetto è sempre quello. Ad esempio, dopo che ci siamo abituati a un determinato spazio, noi siamo spinti a dividerlo, riusciamo a dividerlo ancora e poi a dividerlo sempre di più. Riuscendo alla fine a trovare un nostro modo di stare, una nostra dimensione in uno spazio sempre più ridotto. Ci adattiamo a vivere anche in monolocali da pochi metri quadrati... La stessa cosa vale per i soldi o le risorse in genere: una volta abituati a una determinata condizione, impariamo a rimodulare la nostra vita con quello che abbiamo. E lo stesso accade quando le risorse disponibili diminuiscono, se sono sempre di meno.  Non sempre tale spirito di adattamento segue percorsi virtuosi. Ci adattiamo spesso anche a situazioni di comodo. Di comodo per noi, ovviamente. Così cap...

Trent'anni e un ciao

E POI ARRIVA IL MOMENTO in cui ti ritrovi a riempire una scatola con tutte le tue carte personali e alcuni oggetti della scrivania dai quali non ti separeresti mai. Come nei film. Capita l'ultimo giorno, ovvio. Fra gli sguardi mogi di chi ti vuole bene e quelli fra l'incuriosito e il disinteressato degli altri. Mentre il tuo vaga qua e là: troppo preso a cercare di catturare cose e angoli di una stanza che hai visto ogni giorno per trent'anni, ma che oggi, improvvisamente, fanno tutto un altro effetto.

E in quei momenti tutto è sospeso. L'unico a muoversi sei tu e cerchi di farlo in sordina, per non dare fastidio. Quasi un'anteprima di quello che sarà già a partire da domani, col silenzio della tua assenza che si farà sentire. E accidenti se si farà sentire!

Non è vero che nei distacchi, in genere, soffre di più chi rimane: a volte si resta da soli in due; ma comunque chi se ne va, qualunque sia stato il motivo, se ne va sempre da solo. E quel momento è terribilmente lungo e non ti abbandona per un bel po'.

Trent'anni... E il pensiero corre alla stanza di papà, dove sono entrato tante volte da piccolo quando mi portava con sè in ufficio e io giocavo con le matite rosse e blu (quelle grosse!), con i ditali in gomma (che servivano per sfogliare una pagina alla volta con sicurezza) e con il barattolino della Coccoina (del cui profumo non avevo mai abbastanza). Ci sono tornato tante volte in quella stanza - all'insaputa di chi la occupava a distanza di anni - per cercare di rivederlo seduto alla scrivania a lavorare, per rivivere sensazioni, odori e suoni che sono marcati indelebilmente nella memoria di qualche cellula da qualche parte del mio cervello. Per sempre.

Lascio in questo palazzo diversi pezzi del mio cuore, per cose che posso sentire solo io. Lascio ricordi di momenti che sanno animarsi e riprendere vita soltanto per me, quando con la mente torno da loro. Lascio volti che fanno parte della galleria fotografica della mia vita lavorativa e non solo. E sono convinto che qualcosa di quel che lascio sia stato raccolto e, in qualche caso, conservato.

Spero che almeno fuori non piova. La pioggia, ora, proprio non potrei sopportarla...


Ps: molti amici negli ultimi due mesi mi hanno fatto notare e, in qualche caso, anche rimproverato di essere più chiuso, introverso e inspiegabilmente poco sensibile all'amicizia che mi lega a loro: spero che ora vogliano concedermi un pochino di comprensione in più. Non mi andava di parlarne allora, così come non mi va di parlarne ora. 


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