La fine e il fine
SIAMO ESSERI CHE CICLICAMENTE, in questo viaggio che è chiamato vita, vedono cose straordinarie, sempre nuove, sempre più tecnologicamente avanzate, da quando veniamo alla luce fino a quando abbandoniamo questo palcoscenico. Un flusso che si genera continuamente, fatto di tanti cicli di vita. Per la gran parte semplici testimoni, alcuni interpreti e pochissimi protagonisti. Tutti, comunque, destinati a scomparire.
Questa cosa è talmente stupida che fatichiamo a capirne il senso. Eppure è uno dei pensieri più antichi dell’umanità: l’idea che ogni generazione nasca, viva, scopra cose meravigliose e poi sparisca, lasciando spazio alla successiva. È un po’ come guardare un fiume: ogni goccia passa una sola volta (forse), ma il fiume continua a scorrere.
Si dice: il senso di tutto ciò dipende da dove lo cerchiamo. Biologicamente sappiamo che il ciclo serve a mantenere la vita: nasciamo, ci riproduciamo, lasciamo una eredità genetica e culturale, e la specie umana prosegue. Dal punto di vista della conoscenza, ogni generazione aggiunge qualcosa – cultura, tecnologia, arte, idee – che diventa il contesto nel quale si troverà a muoversi e indagare la successiva. Così, anche se ogni individuo è destinato a sparire, il sapere e l’esperienza rimangono.
Ma è dal punto di vista esistenziale che accusiamo l'incapacità di darci risposte soddisfacenti e finiamo per impantanarci.
Sembra un gioco senza scopo. Anche se per molti il senso sta proprio nel vivere il piccolo tratto di fiume. Nel tentativo di imprimervi un segno. Nell’amare, nel creare, nel lasciare qualcosa dietro di sé. Nel bene e nel male. Indubbiamente un'idea grandiosa, certamente autoreferenziale: in grado di soddisfarci, al tempo stesso, come risposta e nel nostro bisogno di metterci al centro di tutto.
Un'idea che però stride proprio con l'incapacità di individuare uno scopo ultimo. Magari la sua grandiosità sta proprio nel nostro sforzo incessante di dare un significato al nostro passaggio. Ma è uno sforzo destinato a generare infinite interpretazioni, piuttosto che una verità.
Ogni volta che un nuovo essere umano apre gli occhi alla luce del mondo, trova davanti a sé meraviglie che per lui sono inedite, come lo furono per chi lo ha preceduto. Strade, strumenti, parole, macchine, luci: tutto è sempre più grande, più veloce, più sofisticato. Poi, lentamente, quel bambino cresce, osserva, impara, costruisce a sua volta, aggiunge qualcosa al mosaico. E quando se ne va, altri arrivano, altre mani raccolgono l’eredità, altre pupille si spalancano stupite di fronte a ciò che c’è.
È un flusso. Un flusso che certamente ha avuto un suo inizio, da qualche parte e in qualche tempo. Non è possibile infatti immaginare altrimenti. Ma di questo fluire continuo non riusciamo a vedere una fine nè un fine. Nasci, guardi, ti meravigli, scompari. E così via.
Eppure in questo passaggio continuo pulsa una grandezza silenziosa: ogni vita è un frammento di costruzione, ogni meraviglia di oggi è nata da una mano di ieri, ogni sguardo di domani dipende da ciò che lasciamo oggi. Sarà anche una risposta che giustifica il flusso solo guardandolo all'indietro. Ma è indubbio che rimarchi la grande responsabilità che ciascuno di noi porta sulle spalle, anche senza averla scelta.
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