Il mio 23 maggio di trent'anni fa

L'auto della strage di Capaci conservata alla Scuola di formazione e aggiornamento del Corpo di Polizia Penitenziaria e del Personale dell’Amm.ne Penitenziaria “G. Falcone”
 
QUEL GIORNO AVEVO 28 ANNI. Era un sabato, di lì a due mesi mi sarei sposato e la mia testa era rivolta altrove: gli ultimi preparativi e le tante cose che ruotano intorno al proprio, imminente, matrimonio. Cercavo un po' di relax fra tanto stress.

Lavoravo già da 4 anni al Ministero della Giustizia. L'Ufficio Stampa era collocato in un'ampia stanza, la Sala Rossa, che all'epoca accoglieva in un unico ambiente le scivanie del Capo e degli addetti stampa. Nella piccola stanzetta attigua, tanto per dire, lavorava un giovane Pietro Grasso, da poco nominato vice capo di Gabinetto dall'allora ministro Claudio Martelli. Spesso bussava al nostro ufficio per chiederci una sigaretta...

L'anno successivo sarei diventato giornalista, con tanto di iscrizione all'albo. Ma come addetto stampa poteva capitare di dover accompagnare qualche dirigente ministeriale a un incontro con i giornalisti. Solo qualche tempo prima ero stato con il Direttore generale degli Affari Penali, Giovanni Falcone, negli studi Rai di Via Teulada. Ero nell'auto della scorta che lo seguiva quando, alla fine della strada panoramica che scende dalla Balduina, lo sportello del portabagagli dell'auto dove viaggiava la 'personalità' (così vengono identificati, nel linguaggio delle scorte, i soggetti sottoposti a tutela) si aprì. Mi mossi per scendere dall'auto, ma fui preceduto da un componente della scorta. Dentro mi sembrò di vedere delle armi...

Erano tempi in cui noi addetti stampa lavoravamo senza telefonini, al massimo qualcuno poteva avere il teledrin. Eppure, nelle prime ore pomeridiane di quel sabato, ci ritrovammo a cercarci al telefono subito dopo aver appreso la notizia dall'edizione straordinaria del tg, per scambiarci parole di incredulità. Ma anche per trovare un modo per renderci utili: chi era a Roma si precipitò in ufficio a Via Arenula; io ero nel viterbese e praticamente sequestrai per ore il telefono fisso della casa dove mi trovavo.  

Essere utili in qualche modo, in qualunque modo. Perchè quello che era accaduto riguardava l'aria che eravamo abituati a respirare ogni giorno al Ministero. Ed era troppo grande per noi come singoli. E aveva bisogno di una risposta, di una reazione di tutti. Quale che fosse stata, secondo le possibilità del momento...

Quelli successivi furono giorni di frustrazione. Il Ministero sembrava improvvisamente vuoto e privo di linfa vitale, quella a cui erano abituate le mille e più persone che ogni giorno lo popolavano per lavoro. Il secondo fortissimo 'gancio' sarebbe arrivato a distanza di due mesi e stavolta avrebbe fatto piegare le gambe a tutti. Ma in qualche modo resistemmo. In qualche modo andammo avanti. Nell'Ufficio Stampa, al Ministero della Giustizia, nelle Istituzioni sane del Paese e nei cuori della stragrande maggioranza degli Italiani sani.

Grazie... Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo.

E grazie, fin da ora... Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

L'ufficio di Giovanni Falcone al Ministero della Giustizia

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