L'incalcolabile lascito del non-detto per sempre

VI PROPONGO UNA RIFLESSIONE: che fine fanno le frasi o le battute che pensiamo, stiamo quasi per dire e poi invece, alla fine, ci teniamo dentro? Tristezza o grandezza, chissà...

Capite? Sono lì lì per emergere nel mondo esterno, per aprirsi all'universalità, per stamparsi perennemente nell'etere, pronte a lanciarsi verso il cosmo, altre galassie e oltre... E poi, al momento di uscire, più nulla.

L'attimo fuggente che un momento prima si veste di puro istinto e un istante dopo, spogliato di cotanto abito, frena improvvisamente e cede il passo alla razionalità se non alla paura.

A volte rinunciamo per le convenzioni in cui siamo intinti o il pudore che ci caratterizza. A volte lasciamo che quell'aborto non spontaneo si aggrovigli ben bene nello stomaco e nel cervello e fatichiamo a mandare giù quel mutismo improvviso.

Tuttavia, qualunque sia la ragione, a quel punto tutte quelle parole perdono improvvisamente il loro vigore, il loro significato, il convincimento che le rendeva urgenti e il collegamento con l'identità di chi le avrebbe volute pronunciare. Si disfano, si sciolgono e tornano nel brodo primordiale del nostro io più informe.

Ma il mondo...? Le persone davanti a noi, i nostri interlocutori, quelli che avranno negato per sempre il nostro non-detto...? Se è vero che il battito d'ali di una farfalla può provocare un terremoto dall'altra parte del pianeta, cosa è in grado di provocare una parola non detta per sempre?

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