Elogio del vincolo

Odio non avere punti di riferimento. Un motivo, un perchè, una considerazione iniziale. Se occorre, anche un'ingiustizia, un torto, un appiglio qualsiasi. Ma devo avere un punto di riferimento, un punto da cui partire o ripartire. Qualcosa dove poggiare i piedi per darmi la spinta, lo slancio, il primo movimento. Voglio avere un numero uno da cui cominciare: un primo passo, un primo motivo, un prima di tutto.

Non mi piace la tavolozza bianca, lo spazio infinitamente aperto, le infinite possibilità: mi mettono a disagio. Preferisco piuttosto un vincolo, un vincolo dove, però, posso agganciarmi. La libertà fine a se stessa è un non-senso: non è libertà, soffoca. Meglio una stretta gola che attraversare il deserto. Tutto quello spazio aperto, infinitamente aperto, intorno: non puoi sfuggire, non puoi trovare un riparo, non puoi sottrarti. Ti volti intorno e sei un puntino inerme... E inutile.

Siamo piccoli. Le infinite possibilità ci dominano e, per quanto possiamo sforzarci, non potremo mai affrontarle. Le piccole distanze, invece, quelle sì: padroneggiare quello che ci è vicino, sforzarsi per meglio comprenderlo... Questo sì, aiuta il confronto con noi stessi, aiuta a conoscere le vie intorno a noi.

Andare lontano, ma anche guardare lontano quando non si conosce quel che abbiamo vicino non ha senso, secondo me. Almeno non va bene, secondo me. Fare dieci insignificanti passettini ha un senso, secondo me: farne uno enorme con la scusa che è importante non ne ha. E' presunzione fine a se stessa, la materializzazione di un capriccio, un non-bastarsi-mai a prescindere.

Quanta grandezza c'è nello scoprirsi piccoli.
Quanta grandezza c'è nell'accettarsi incompleti.
Aspettando l'altra metà...

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